L’attività di monitoraggio delle performance aziendali è di competenza del controllo di gestione. Tuttavia, anche un controllo di gestione molto penetrante può non essere in grado di rappresentare le vere ragioni degli scostamenti in atto e può quindi condurre all’adozione di soluzioni errate. Pensiamo ad un negozio di prodotti per ufficio. Il negozio vende le stampanti sottocosto, per attirare clientela. Se i clienti comprano solo le stampanti, più clienti il negozio attrae più perde. Non sono né il numero di stampanti, né il traffico del negozio, né i ricavi da stampanti i driver della performance dell’impresa, ma la composizione dello scontrino medio. Se in media i clienti acquistano oltre alla stampante anche altri prodotti, la strategia di vendita delle stampanti sottocosto può avere successo. Tuttavia, ciò presuppone che il personale di negozio sia in grado di orientare la clientela all’acquisto di altri prodotti. È sufficiente una minore attenzione del personale al cross selling che la strategia si trasformi in una vera e propria trappola (più vendite, più clienti e … più perdite). Il controllo di gestione è in grado di misurare le variazioni di composizione dello scontrino medio? Così da permettere di risalire alle vere cause della migliore o peggiore performance? L’esempio nella sua semplicità permette di cogliere l’importanza di una corretta identificazione dei driver di valore. Nell’esempio il driver di valore è la composizione dello scontrino medio, in altri casi è la vita media delle relazioni di clientela (il c.d. churn rate dei clienti), in altri ancora è la pipeline di nuovi prodotti, ecc. Come si può notare, si tratta di metriche diverse dai costi e dai ricavi che, agendo a monte dei costi e dei ricavi stessi, ne determinano poi la dinamica. Qualunque sistema di controllo di gestione fondato solo su costi e ricavi finisce per trascurare i veri driver di valore.
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