La competizione riduce la redditività delle imprese, ma ne induce anche il cambiamento. È una forza Darwiniana in grado di selezionare il tessuto delle imprese. Alcune evolvono, altre soccombono. Poche rimangono eguali a sé stesse. Qualunque manager o imprenditore guardando al passato dovrebbe stupirsi di quanto la sua impresa sia cambiata negli ultimi dieci anni. La mancata consapevolezza della trasformazione è dovuta al fatto che le modifiche sono avvenute lentamente, per progressivo adattamento. Infatti, la competizione determina lo stesso effetto che il cambiare dei costumi esercita sulle persone. A quanti di noi è capitato, nel rivedere una vecchia foto di dieci anni fa, di stupirci di come eravamo vestiti, del taglio di capelli, del cellulare che avevamo, ecc. Non c’è solo lo stupore di chi era convinto di non essere cambiato, ma anche la consapevolezza di come saremmo ridicoli oggi se ci presentassimo come allora. La spinta evoluzionistica indotta dalla competizione è in grado di spiegare buona parte delle performance aziendali di medio-lungo termine. In media il 50% dei cambiamenti e dei risultati delle imprese è spiegabile sulla base delle dinamiche di settore. È questa, tuttavia, una media alla Trilussa, perché nel caso delle imprese competitivamente più deboli la dinamica settoriale spiega il 100% delle performance di medio termine (nel bene e nel male). La ragione va ricercata nel fatto che un’impresa competitivamente debole è come una barca senza timone. Sono le correnti ed il vento a definirne il destino. Quando in un consiglio di amministrazione si sentono attribuire alla crescente competizione, al declino della domanda, alle mosse dei concorrenti le ragioni della mancata realizzazione del budget o del piano, dovrebbe sorgere il dubbio di un progressivo indebolimento competitivo dell’azienda. Perché più l’impresa è in balìa della competizione, più le cause del mancato raggiungimento degli obiettivi vanno ricercate dentro e non fuori dall’impresa. Verrebbe da citare la nota frase di John Augustus Shedd “Una barca è più sicura nel porto, ma non è per questo che è stata costruita”. L’eccessiva esposizione dell’impresa alle dinamiche settoriali si traduce sempre in minor valore semplicemente perché l’impresa è esposta ad un maggiore rischio, non avendo il controllo del proprio destino. Le barche in porto sembrano tutte simili, ma il valore di una barca è dato dalla capacità di affrontare il mare aperto. Una via poco conosciuta per creare valore consiste proprio nel ridurre l’esposizione alle dinamiche settoriali avverse. L’effetto può essere sorprendente perché a parità di risultati (Ebitda, Ebit, Utile netto) i multipli applicati possono raddoppiare. Ma come è possibile ridurre il rischio?
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