Le operazioni di M&A (mergers & acquisitions) di successo (win-win) presuppongono il vantaggio di tutte le parti coinvolte: la parte venditrice e la parte acquirente nel caso di acquisizioni/dismissioni, o i soci della combined entity nel caso di fusioni. C’è vantaggio per tutti quando ricorrono due condizioni: i benefici attesi sono almeno in parte riflessi nel prezzo o nel rapporto di concambio e si tratta di benefici che le aziende o i rami di azienda coinvolti non sarebbero in grado di generare autonomamente. Di qui è facile comprendere come qualsiasi operazione straordinaria si caratterizzi per condizioni specifiche proprie. Prezzi di transazioni realizzate in precedenza nel medesimo settore spesso rappresentano riferimenti distorti del prezzo fattibile (in quanto si tratta di prezzi che riflettono benefici non replicabili), ma soprattutto nulla dicono dei benefici relativi alla specifica transazione oggetto di analisi. I benefici attesi da operazioni di M&A sono conosciuti con il termine “sinergie” – un termine spesso abusato e altrettanto frequentemente riferito a generiche speranze di vantaggi futuri – ma che funge da strumento per dipingere come “win-win” operazioni destinate a distruggere valore. Nella nostra esperienza, infatti, se non si misurano correttamente le sinergie, si finisce con il sopravalutarle riconoscendo premi sproporzionati rispetto ai benefici attesi ed ai rischi assunti. Infatti, non solo le sinergie richiedono investimenti e tempi di maturazione, ma sono anche limitate nel tempo e spesso si accompagnano a dis-sinergie (o sinergie negative) che ne riducono il valore. Una breve analisi di sinergie e dis-sinergie nella prospettiva del venditore, dell’acquirente e nelle fusioni permette di comprendere i rischi di sopravalutazione e gli errori più frequenti di misurazione.
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Sinergie e dis-sinergie per il venditore
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Per il venditore le sinergie possono essere di tipo operativo e finanziario. Le prime riguardano il venir meno degli svantaggi connessi alla diversificazione. Svantaggi che possono riguardare tanto l’insuccesso del business oggetto di cessione (atteso che ogni iniziativa con rendimento inferiore al costo del capitale distrugge ricchezza) quanto il successo dello stesso business (atteso che business in rapida crescita assorbono più risorse di quante non ne generino drenando cassa oltre le capacità dell’azienda che li controlla). Nella prospettiva del venditore, cedere un ramo significa rifocalizzare l’attività sul business principale. Poiché tuttavia, la rifocalizzazione comporta una contrazione del perimetro aziendale su cui insistono i costi generali e comuni dell’azienda, se non si interviene con un parallelo taglio di tali costi la vendita genera dis-sinergie per il venditore. Le sinergie di tipo finanziario riguardano invece i vantaggi conseguenti alla cassa ricavata dalla vendita; la quale può consentire di ridurre l’indebitamento o finanziare nuovi investimenti o riacquistare azioni proprie o distribuire un dividendo straordinario. Non sono tuttavia operazioni che necessariamente generano valore: tutto dipende dalla redditività e/o dalla reale flessibilità finanziaria acquisita.
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Sinergie e dis-sinergie per l’acquirente
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Nel caso dell’acquirente le sinergie sono più rischiose, perché attengono al successo di modifiche gestionali dell’entità acquisita o allo sviluppo di complementarità fra acquirente ed acquisita. Oltre al rischio di manifestazione di queste sinergie ed agli investimenti necessari per realizzarle, un aspetto spesso trascurato è rappresentato dalla durata delle sinergie stesse. Come tutte le fonti di vantaggio competitivo sono soggette ad un naturale fenomeno di progressivo riassorbimento per effetto della pressione competitiva. Nulla è per sempre. Si pensi ad esempio alle sinergie legate alle economie di scala, che mirano a dotare l’azienda di una leadership di costo. Quasi sempre queste operazioni si consumano in settori soggetti a concentrazione. Quando l’onda di concentrazione – la merger wave - si è esaurita, il vantaggio conseguente alla realizzazione di economie di scala viene progressivamente eroso dalla pressione sui margini conseguente al raggiungimento anche da parte dei concorrenti della stessa base di costi. Anche l’acquirente spesso incorre in dis-sinergie. Si tratta delle difficoltà di integrazione fra l’entità acquisita e l’acquirente per una diversa cultura aziendale, la perdita di agilità nella risposta al mercato in una delle due entità, la reazione negativa di alcune categorie di clienti, la perdita di personale chiave dell’entità acquisita, la reazione dei concorrenti, finalizzata a mettere in difficoltà l’acquirente (specie quando l’acquisizione è stata finanziata a debito). Le dis-sinergie non sono necessariamente sostitutive delle sinergie: semplicemente accade che a fronte di alcuni benefici l’operazione straordinaria generi anche taluni svantaggi.
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Sinergie e dis-sinergie nelle fusioni
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Nel caso di fusioni, gli azionisti che hanno partecipato alla fusione, godono delle sinergie in relazione alla loro partecipazione al capitale della nuova entità, il quale è funzione del rapporto di concambio fra le azioni delle entità fuse (o del valore del conferimento in rapporto al valore delle azioni della conferitaria). La caratteristica delle fusioni è che di norma nel rapporto di concambio non vengono riconosciute le sinergie di cui i soci godranno in qualità di soci della nuova entità, perché altrimenti i benefici verrebbero riconosciuti due volte: una volta nel prezzo di concambio che ha determinato l’interessenza nella combined entity ed un’altra volta nei flussi goduti grazie all’interessenza. Tuttavia, per la stessa ragione non vengono neppure riconosciute le dis-sinergie che la fusione può generare e ciò può penalizzare una parte più dell’altra. Ad esempio, la fusione di due entità di dimensione diversa, finisce per trasferire ai soci dell’entità di maggiori dimensioni il controllo della combined entity, può così accadere che - quando i benefici attesi non si verificano e la combined entity langue - i soci di minoranza si trovino a disporre di una partecipazione di minoranza molto più difficile da liquidare rispetto all’azienda o al ramo di azienda sacrificato nella fusione. Un’altra causa di dis-sinergie può essere rappresentata dalla necessità di liquidare i soci che non partecipano alla fusione ed esercitano il recesso, con l’effetto di squilibrare finanziariamente la nuova entità appena nata con la fusione.
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Spesso le sinergie sono misurate in forma molto sommaria, sulla base di multipli (frequentemente lo stesso multiplo usato per valutare la target) con l’effetto di generare errori rilevantissimi. Vediamo perché attraverso un semplice esempio numerico. Se la combinazione di A con B può aumentare il reddito operativo della combined entity di 10 ed il multiplo (EV/Ebit) è 10x, la stima sommaria porta a misurare benefici per 100. Se fosse A ad acquistare B, i soci di A potrebbero essere disposti a riconoscere nel prezzo di B un premio di 50 (il 50% delle sinergie attese). Se il valore di B stand-alone fosse 300 il prezzo offerto potrebbe essere pari a 350 (300 + 50). Se tuttavia le sinergie: (i) richiedessero un investimento di 30 per poter essere realizzate; (ii) fossero destinate ad esaurirsi in 5 anni e (iii) fosse probabile incorrere in dis-sinergie per i primi due anni pari a 4,5 all’anno; (iv) il costo del capitale fosse il 10%, il valore attuale netto delle sinergie sarebbe pari a zero (vedi tabella sottostante). Gli azionisti di A pagherebbero un premio di 50 a fronte di ….. nulla. Infatti, il multiplo di 10 volte le sinergie annue attese assume implicitamente che le sinergie possano essere godute all’infinito (100 corrisponde al valore attuale di una rendita perpetua al 10% = 10/10%), che non richiedano alcun investimento e che non siano accompagnate da inevitabili dis-sinergie. L’errore di sovrastimare le sinergie è tanto più frequente quanto più la vendita della target vede in competizione fra loro più acquirenti potenziali. Gli anglosassoni hanno addirittura coniato il termine “maledizione del vincitore” (winner’s curse), per rappresentare la situazione di chi - risultato aggiudicatario della target per aver offerto il premio più alto - si accorge poi di aver riconosciuto un valore che non realizzerà mai. Per la gioia del venditore e la maledizione dell’acquirente.

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