Tutti sanno che i valori contabili non esprimono i veri valori dell’azienda. Per questo motivo chi si occupa di valutazioni spesso si vede porgere l’ultimo fascicolo di bilancio accompagnato dalla domanda: “Secondo Lei quanto vale la mia azienda?”
Chi formula la domanda sa di poter ricevere dall’esperto un’indicazione molto approssimata (e non precisa) ma vorrebbe sentirsi rispondere qualcosa del tipo: una volta e mezza il fatturato oppure due volte i mezzi propri oppure ancora 8 volte l’EBITDA. Molti rispondono subito – spesso esagerando il valore per far contento l’interlocutore – fornendo valori campati in aria che tuttavia attirano l’interesse dell’imprenditore. Sono i falsi esperti di valutazione.
In verità, la domanda molto generica “quanto vale la mia azienda” nasconde molte insidie. Il vero esperto sa di non poter rispondere sino a che non è in grado di comprendere cosa l’interlocutore vuole veramente sapere e quindi formula a sua volta quattro domande chiave:
- Valore o prezzo?
- Valore per chi?
- Valore perché?
- Valore di cosa?
Vediamone il significato.
Valore o prezzo?
Esistono tre tipologie di valori diverse fra loro e occorre capire a quale ci si riferisce.
Partiamo da alcune nozioni di base:
- Il valore di qualunque attività può essere ricavato alternativamente dai flussi di reddito e di cassa che l’attività produce (valore economico), da quanto si potrebbe ricavare dalla sua vendita sul mercato (prezzo di vendita) o dell’investimento necessario per rimpiazzare l’attività (prezzo di acquisto). I tre valori sono naturalmente diversi fra loro;
- Il prezzo di vendita di un’attività è sempre inferiore al prezzo di acquisto. Se il prezzo di vendita fosse superiore al prezzo di acquisto, si innescherebbe un arbitraggio: la corsa a comprare l’attività per rivenderla, lucrando la differenza. La differenza fra prezzo di vendita e prezzo di acquisto è minima nel caso di attività liquide (bid-ask spread), ma può essere molto elevata per attività illiquide come le aziende;
- Il valore economico è superiore al prezzo di vendita quando il soggetto che usa l’attività è in grado di garantirne il massimo e miglior uso, se invece altri soggetti potrebbero estrarne maggiori flussi di cassa il valore economico è inferiore al prezzo di vendita.
Queste semplici nozioni permettono di capire come di un’azienda esistano tre valori anche molto diversi fra loro: valore di capitale economico, valore di mercato, e valore di rimpiazzo e come la distanza fra i tre valori sia funzione di due principali elementi:
- il grado di liquidabilità dell’azienda (ossia la sua marketability), la sua capacità di attrarre l’interesse di potenziali acquirenti (finanziari o industriali). Minore è la marketability minore è il potenziale prezzo di vendita;
- la circostanza che l’azienda nelle sue attuali condizioni sia in grado (o meno) di sfruttare al meglio le sue potenzialità (ossia la capacità dell’imprenditore di garantire l’highest and best use alle attività dell’azienda).
Valore per chi?
Il valore è funzione dei poteri di chi detiene la partecipazione e delle potenzialità dell’azienda, che variano da soggetto a soggetto azionista/investitore.
Anche in questo caso dobbiamo fare riferimento a qualche nozione di base:
- chi controlla l’azienda può stabilirne strategie, politiche di investimento e di finanziamento, politiche dei dividendi, coperture dai rischi, ecc. In breve, chi controlla l’azienda può entro certi limiti gestire il rapporto rischio/rendimento, chi non la controlla lo subisce. Il valore per l’azionista di controllo è dunque un valore che cattura le potenzialità di ottimizzazione del binomio rendimento/rischio (valore stand alone), mentre il valore di un pacchetto di minoranza esprime il valore dell’azienda come è (valore as is) Di qui nascono premi per il controllo e sconti di minoranza. Inoltre, la marketability di un pacchetto di controllo è molto maggiore della marketability di un pacchetto di minoranza;
- il valore di una stessa azienda può essere molto diverso per diversi potenziali acquirenti. Il valore di Alfa Romeo per BMW è diverso dal valore che Alfa Romeo potrebbe avere per Renault, in quanto BMW potrebbe ricavare molte maggiori sinergie;
- delle sinergie, una parte potrebbe manifestarsi in capo all’entità acquisita (si tratta quindi di sinergie destinate ad essere condivise con i soci di minoranza, ossia sinergie divisibili) ed una parte in capo all’entità acquirente (si tratta quindi di sinergie indivisibili).
Queste semplici nozioni permettono di capire che il valore del pacchetto di controllo (ad esempio pari al 51%) è maggiore del valore del 100% dell’equity dell’azienda espresso pro-quota (valore equity x 51%) quando vi è spazio per possibili ottimizzazioni gestionali e sinergie divisibili ed indivisibili. Mentre il valore del pacchetto di minoranza in caso di ricambio del controllo e di ottimizzazione della gestione incorpora al meglio le sole sinergie divisibili.
Valore perché?
Lo scopo della valutazione può modificare il valore stimato. Vediamo perché attraverso un esempio.
Un’azienda di grandi dimensioni è interessata ad acquisire il controllo di un’azienda di piccole dimensioni:
- se l’operazione è una fusione, l’azionista che controllava l’azienda piccola diventa azionista di minoranza dell’azienda grande. Perde il controllo, ma guadagna le sinergie divisibili ed indivisibili;
- se l’operazione è un acquisto per cassa, l’azionista di controllo dell’azienda piccola deve farsi riconoscere sinergie divisibili e indivisibili ed il premio di controllo.
ed ancora se a seguito dell’operazione un socio recede:
- il valore di recesso prescinde dalla partecipazione detenuta dal socio (partecipazione di minoranza qualificata, di pura minoranza, poche azioni, ecc.). Infatti, va stimato sul valore del 100% dell’equity espresso pro quota.
- il valore del 100% dell’equity (nel caso di una spa) è rappresentato dal valore di capitale economico e non dal valore di mercato, perché il socio va rimborsato di ciò che ha contribuito a formare di valore sino a quella data non di quanto realizzerebbe dalla vendita (atteso che non avrebbe venduto se non ci fosse stata l’operazione straordinaria).
Lo scopo della valutazione modifica dunque gli elementi che entrano a far parte del valore. Questa circostanza spiega ad esempio perché i multipli impliciti nei prezzi di alcune operazioni straordinarie relative a società comparabili siano più alti o più bassi in relazione alla modalità di acquisizione (per cassa, per carta o miste) e possano essere diversi anche dai valori di recesso.
Valore di cosa?
L’azienda vale in relazione al vantaggio competitivo di cui gode. Valutare un’azienda significa valutarne il vantaggio (o svantaggio) competitivo.
Anche qui poche nozioni possono aiutare:
- il valore di un’azienda può essere sempre concepito come la somma algebrica fra il patrimonio netto e l’avviamento, che può avere valore positivo (goodwill) o negativo (badwill);
- il patrimonio netto può non esprimere il valore di tutte le attività nette possedute dall’impresa, in quanto ad esempio esclude tutti gli intangibili formati internamente;
- l’avviamento è positivo o negativo in relazione al fatto che l’azienda sia in grado prospetticamente di generare (o meno) una redditività superiore a quella normale tenuto conto del grado di rischio (costo del capitale). Circostanza riconducibile alla presenza o meno di un vantaggio competitivo.
Alla fine, dunque – poiché il patrimonio netto contabile è noto – la valutazione riguarda il vantaggio competitivo dell’azienda ed il contributo degli intangibili formati internamente a sostenere tale vantaggio, le sue potenzialità in termini di capacità di reddito ed il rischio che venga progressivamente eroso dalla concorrenza.
Concludendo
In sintesi, non ha senso chiedere quanto vale l’azienda mostrandone il bilancio, se manca un’analisi sulla capacità dell’attuale management di sfruttarne al meglio le potenzialità, sulla marketability dell’azienda, sull’esistenza di valore sinergico, sul tipo di operazione che potrebbe al meglio valorizzare l’azienda, sulle fonti del suo vantaggio competitivo e sul contributo degli intangibili formati internamente.
Con poche domande il vero esperto rende consapevole l’imprenditore dell’esigenza di interrogarsi a fondo sulle prospettive, sulle potenzialità, sull’attrattività, sull’unicità e sui rischi dell’azienda. E’ l’inizio dell’analisi fondamentale, senza la quale qualunque stima di valore è campata in aria.