Criticità di un deal

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Di ACB Valutazioni

Deal design

Le operazioni di finanza straordinaria (fusioni, acquisizioni, disinvestimenti) sono operazioni complesse e nella maggior parte dei casi irreversibili. Ciò significa, da un lato, che un errore possa costare molto e, dall’altro, che l’intuito imprenditoriale da solo possa non essere sufficiente, perché la circostanza che oggetto di transazione sia una buona azienda, non è di per sé sufficiente a garantire la bontà del deal. Occorre anche negoziare condizioni economiche appropriate ed evitare conseguenze negative. 
Vendite ed acquisti di azienda possono essere grandi opportunità di creazione di valore tanto per l’acquirente quanto per il venditore, ma possono essere anche un formidabile strumento di trasferimento di valore da una parte all’altra. Da opportunità possono trasformarsi in vere e proprie trappole.   
   
Le condizioni economiche del deal non riguardano solo il prezzo, ma anche il perimetro di ciò che si vende o si acquista, i rischi e le relative garanzie, la governance, le conseguenze fiscali e finanziarie, le prospettive post deal, le sinergie, ecc. 
Un deal può essere concepito come un iceberg: la parte emersa (più facilmente visibile al management) riguarda l’attrattività dell’azienda oggetto di negoziazione mentre la parte sommersa riguarda le condizioni e le modalità di vendita o di acquisto (la due diligence, il contratto, le clausole accessorie, gli accordi parasociali, gli strumenti e le forme di pagamento, ecc.).  L’errore più frequente consiste nel confondere la parte emersa dell’iceberg (l’azienda che si vuole comprare e vendere) con la sostanza e la parte sommersa (le condizioni del deal) con la forma, mentre la realtà insegna che nei deal la forma è sempre sostanza, perché il problema non è comprare o vendere, ma comprare o vendere bene. 
 
Di seguito una breve illustrazione di ciò che occorre considerare nel progettare e nel gestire un deal.   

La parte emersa dell’iceberg: l’attrattività dell’azienda (da comprare o vendere)

Qualunque sia il ruolo nel deal (di compratore o di venditore), è necessario interrogarsi su quanto sia attrattiva l’azienda oggetto di possibile transazione. Maggiore è l’attrattività, maggiore sarà la competizione fra i potenziali acquirenti, ma anche il rischio per questi ultimi di riconoscere un prezzo troppo elevato (la c.d. maledizione del vincitore – winner’s curse). 
L’attrattività dell’azienda può essere ricavata: (i) in via diretta; (ii) da transazioni comparabili o (iii) in via indiretta. 
L’attrattività: nel primo caso, è desunta dai potenziali pretendenti che hanno già manifestato interesse (non vincolante) all’acquisto; nel secondo caso, dal numero di aziende comparabili che sono già state oggetto di compravendita; nel terzo caso, dai fondamentali della specifica azienda (la capacità di reddito, le prospettive di crescita, i rischi, la dotazione di capitale). 
Qualunque sia il criterio utilizzato per misurare l’attrattività dell’azienda, bisogna sempre chiedersi per quale categoria di acquirenti l’azienda sia più attrattiva.  Infatti, la stessa azienda può assumere un valore ben diverso in relazione a chi ne potrà disporre, alle risorse complementari possedute, alle possibili sinergie, ecc. 
Una volta individuata la categoria di potenziali acquirenti in grado di valorizzare al meglio l’azienda, occorre misurare la distanza fra il valore dell’azienda per l’attuale proprietario ed il valore per i potenziali acquirenti. La distanza definisce infatti lo spazio di possibile accordo (ZOPA- Zone Of Possible Agreement) fra la parte acquirente e la parte venditrice, in quanto una distanza ampia rende più facile realizzare un deal vantaggioso per entrambe le parti (win-win). 
L’aspetto che merita di essere sottolineato è che quanto più l’azienda (da vendere o da acquistare) è attrattiva, tanto più il deal è complesso: perché maggiori sono i potenziali contendenti, maggiori sono le aspettative del venditore, maggiore è il rischio per il compratore che la preda vada in mano ai concorrenti, ecc. 
In breve, vale la regola dell’iceberg: quanto più grande è la parte emersa ancora più grande è la parte sommersa. 

La parte sommersa dell’iceberg: le dieci criticità di un deal 

Un deal rappresenta sotto il profilo finanziario uno scambio di risorse finanziarie nel tempo: il riconoscimento di un prezzo in cambio di una successione di redditi (e flussi di cassa) futuri. Tanto il prezzo quanto i flussi di risultato futuri sono tuttavia funzione delle condizioni del deal che definiscono, poteri, obblighi, rischi ed opportunità per le parti coinvolte. Si tratta di un insieme di condizioni che occorre regolare attentamente se si vuole realizzare un buon deal, ossia evitare un  ingiustificato trasferimento di valore (prezzo troppo elevato rispetto ai profili di reddito e di cassa futuri o viceversa).

I profili - diversi dal prezzo - che concorrono a definire la qualità di un deal sono dieci:
  1. Modalità di pagamento (a pronti o con aggiustamento prezzo); 
  2. Perimetro di cessione (ampio o ristretto); 
  3. Modalità di acquisizione del controllo (di fatto, di diritto, attraverso opzioni, per contratto); 
  4. Forma di pagamento (cassa, carta, debito, conferimento di attività)
  5. Rischi trasferiti e assunti (attività da indennizzo, clausole di uscita, diritti di veto, diritti protettivi); 
  6. Contratti accessori (accordi, alleanze, co-investimenti, ecc.);
  7. Profilo societario;
  8. Profilo fiscale; 
  9. Relazioni con il management/precedente proprietà (post deal); 
  10. Relazioni con clienti, fornitori e banche (post deal). 
In molti casi il prezzo nel deal è un vincolo (ad esempio la parte venditrice non vuole registrare minusvalenze ed il valore di bilancio è il prezzo da riconoscere) ed occorre allora regolare i 10 profili descritti per poter intervenire sul perimetro, sui rischi, sul controllo, ecc., ossia su tutti gli elementi che finiscono per dare contenuto al prezzo.

Il deal design

 

Gli errori più frequenti nei deal consistono nel ritenere che gli aspetti in precedenza citati riguardino la sola fase di redazione del contratto, quando ormai la decisione (di acquisto o di vendita) è assunta. Ma non è così. 
Un deal è un percorso complesso, di cui spesso è chiara la destinazione (l’acquisto o la vendita di una specifica azienda), ma non l’itinerario, che tuttavia è pieno di insidie (considerato il rischio di trasferimento di ricchezza a favore di una parte e a danno dell’altra). 
Nella nostra esperienza – attraverso un opportuno deal design in grado di progettare in anticipo tutti i profili in precedenza descritti e condividerli con la controparte – è possibile disinnescare il rischio di trasferimento di ricchezza. Ma perché questo accada occorre un adeguato lavoro preparatorio.
Quando manca la parte progettuale di deal design la negoziazione è continuamente interrotta e spesso si arena proprio quando si è prossimi alla fase finale per incomprensioni (e timori) di una parte (o di entrambe) su qualcuno dei profili indicati in precedenza, lasciando spazio per concludere l’affare a un contendente più preparato a gestire tutti gli aspetti della negoziazione. 
Il deal design non favorisce solo l’acquisizione o la vendita, ma soprattutto evita problemi nella fase post deal. Perché i problemi – se il deal è mal negoziato – arrivano sempre dopo. L’acquirente può aver pagato un prezzo eccessivo, per l’assenza di garanzie, o può non avere ottenuto l’effettivo controllo delle risorse chiave, il venditore può aver accettato clausole di aggiustamento prezzo manovrabili dal compratore o può trovarsi bloccato con una partecipazione di minoranza illiquida in una società che non distribuisce dividendi, ecc. 
L’advisor che esaurisce il proprio mandato con la transazione è normalmente poco interessato alle conseguenze del deal. E’ un mediatore che guadagna dalla transazione in sé.  Non si preoccupa se i benefici della transazione possono essere annullati da rischi, da costi o da contrasti potenziali che possono sorgere nella fase post deal, in quanto rimanda alle clausole contrattuali la soluzione di possibili controversie. Mentre come è noto, le clausole contrattuali servono per tutelare da circostanze inattese non per risolvere ciò che si può prevenire grazie ad un adeguato deal design.